Chi ha detto che la vita a Corte, nel periodo Heian, fosse particolarmente facile? Nessuno? Beh, approfittiamone comunque per dare una smentita, e concentriamoci sulle etichette che gli uomini di Corte dovevano seguire relativamente al corteggiamento, svelandone alcune curiosità.
Prima di tutto, un uomo di Corte non poteva semplicemente incontrare una donna.
Essa era bramata per vari motivi, vuoi che fosse la bellezza, vuoi che fosse l’abilità nel suonare il koto (strumento a corda che potremmo grezzamente avvicinare alla nostrana chitarra classica), oppure perché circondata da un intrigante alone di mistero.
Nonostante gli sforzi del corteggiatore di avvicinarla, essa era protetta dalle barriere più disparate (fedeli badanti, tendaggi, cortine di bambù…), per cui il nostro eroe non aveva che una manciata di soluzioni alternative: l’invio costante di poesie, il cui contorno costituito da carta, contenuto e ramo fiorito d’accompagnamento(!), era particolarmente importante, oppure una più diretta sbirciata attraverso buchi o pertugi detto kaimami (垣間見), che sicuramente potrete immaginare anche grazie all’animazione giapponese che mai si è risparmiata a tal proposito. Quand’anche l’uomo ricorresse a questo subdolo artificio, raramente riusciva a vedere molto, in quanto la donna era “protetta” da ulteriori barriere: ora il ventaglio che ne celava il volto, ora il vistoso kimono che ne nascondeva il corpo, ora i capelli che le scorrevano armoniosamente dal viso in giù.
Non bastava tutto ciò, invero, a tenere a bada la tenacia dell’uomo, il quale difficilmente si faceva bloccare da tali ostacoli, e qualora riuscisse a passare una notte di passione con la donna dei suoi sogni, il giorno dopo era tenuto ad andarsene prima che il sole mostrasse le sue sembianze. Dulcis in fundo (?), una volta giunto alla propria dimora, le inviava un waka (una poesia) a cui la donna doveva rispondere.
Che dicevamo della vita a Corte relativa ai corteggiamenti? Per l’uomo era difficile, o forse solo avventurosa?
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