Di recente ho acquistato uno dei libri più famosi del periodo: “Ikigai” 生き甲斐, in cinese è traducibile come 生活值得 shēnghuó zhídé, ovvero “il senso della vita”. Al suo interno sono illustrati una serie di esercizi da svolgere per ottenere una piena consapevolezza di sè e del proprio scopo sulla Terra, o meglio comprendere quali siano le attività che ci fanno stare bene e in pace con noi stessi e di conseguenza vivere serenamente, (perdonatemi ma qui mi sento in dovere di citare il famoso motto: “Hakuna Matata“). – Se siete interessati, nelle librerie Giunti potrete reperire anche la versione “diario” da compilare autonomamente – .
Non so se sia capitato anche a voi ma, soprattutto nel periodo pre-adolescenziale, mi sono chiesta svariate volte quale fosse l’obiettivo che dovessi perseguire. Sicuramente si tratta di un argomento molto gettonato visto che su di esso è stato realizzato persino un famoso programma televisivo. Anche nella società moderna, in cui siamo tutti presi dalla frenesia della quotidianeità e conduciamo una vita abbastanza soddisfacente, si va sempre alla ricerca di quel qualcosa in più. Credo che nemmeno le persone più insospettabili, come i divi di Holliwood sfuggano a tali considrazioni.
La ricerca della felicità ha toccato le popolazioni sin dagli albori: già gli antichi pensatori greci avevano una parola per indicarla: tyncháno; tuttavia non si tratta di una concezione puramente occidentale, nel 道德经 Dàodéjīng «Libro della Via e della Virtù», composto da 老子 Lǎozi tra il IV e il III sec. a.C. – pietra miliare della filosofia taoista – si accenna infatti al raggiungimento dell’immortalità, intesa come “felicità”. Il carattere 道 dào, significa proprio “la via” da seguire per raggiungere una condizione di superiorità rispetto agli esseri mortali e rappresenta l’unica condizione che permette di auspicare alla vera felicità. Tale stato potrebbe essere in un certo senso paragonabile al raggiungimento dell’illuminazione nella filosofia buddhista.
Nella mitologia cinese sono otto le persone che hanno raggiunto la felicità: detti gli “otto immortali” 八仙 bāxiān: solo tre di loro sono personaggi realmente esistiti e si pensa che vivessero su un gruppo di cinque isole nel Mar Cinese Orientale. Essi grazie all’osservanza di una serie di regole taoiste per purificare l’anima e il corpo – che includono la meditazione, un particolare regime alimentare, in particolare l’assunsione di appositi preparati e frutti di giada – , sono riusciti a debellare la caducità della vita e ad ottenere vari poteri, i quali tra gli altri privilegi, gli permettono di controllare ciò che sta alla base della vita, ovvero: lo yin, lo yang e i cinque elementi. Si pensa che chiunque auspichi al raggiungimento dell’immortalità attraverso una serie di riti sarà seguito da uno di questi immortali. E’ bene specificare che la concezione cinese di immortalità non è legata all’anima come la concepiamo noi occidentali, bensì alla longevità del corpo.
Il personaggio che per antonomasia ha ricercato la felicità – o meglio che ha fatto della ricerca della felicità il suo unico obiettivo, tanto da affidarsi a indovini e quasi a perdere la ragione – è senza dubbio il primo imperatore cinese: 秦始皇帝 Qín Shǐ Huángdì e penso saremmo tutti d’accordo – osservando il suo famoso esercito – che in un certo qual modo l’abbia ottenuta.
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